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Clo

venerdì 2 marzo 2012

Passeggiate nell'Arte: Le statue "parlanti" di Roma

La "Passeggiata nell'Arte" che vogliamo proporre oggi riguarda le “Statue Parlanti di Roma”. Roma si è sempre opposta all'arroganza delle classi dominanti con grande senso dell'umorismo attraverso l’utilizzo di “Pasquino” e delle altre "statue parlanti". Fino dal XVI secolo queste statue hanno rappresentato il pensiero, sia popolare che non, “contro” il potere rappresentato a Roma, in massima parte, dalla gerarchia ecclesiastica.
Iniziamo il nostro giro, accompagnati dalla guida turistica dell’organizzazione Roma e Lazio x te, da Piazza del Campidoglio dove, nel cortile del Museo Capitolino, si trova "Marforio" una lunga figura barbuta distesa su un fianco, forse allegoria di un fiume (il Tevere?) o forse Nettuno il dio dei mari. Si trova nel cortile che fronteggia il Museo Capitolino, dove La statua fu collocata in Piazza del Campidoglio durante il XVI secolo dopo essere stata rimossa dal suo sito originale, davanti al Carcere Mamertino (oggi facente parte del complesso del Foro Romano). Marforio era considerato la "spalla" di Pasquino, poiché in alcune delle satire le due statue dialogavano fra di loro: una faceva domande riguardo ai problemi sociali, alla politica, ecc., e l'altra dava risposte argute.
La seconda statua che scopriremo è conosciuta come "Madama Lucrezia", e si trova in un angolo di Palazzetto Venezia, in piazza San Marco, adiacente a piazza Venezia. Questo enorme busto marmoreo, alto circa 3 metri, proviene da un tempio dedicato a Iside e raffigura una donna, forse una sacerdotessa di questo culto o forse la stessa Iside. Il soprannome le deriva da una nobile dama piuttosto conosciuta, di nome Lucrezia, che visse nel XV secolo. Si era innamorata del re di Napoli, il quale era già sposato; per questo motivo Lucrezia venne a Roma per cercare di ottenere dal papa la concessione del divorzio per il sovrano, ma il tentativo fallì. L'anno seguente il re morì; l'ostilità del suo successore costrinse la dama a tornare a Roma, dove abitò appunto presso la suddetta piazza.
Fra le "statue parlanti" minori si ricorda anche il "Facchino", che,  preseguendo il nostro giro, troviamo vicino via del Corso, in via Lata. Rappresenta una figura maschile, con il viso quasi completamente rovinato, mentre versa acqua da una botte. È la più giovane delle statue parlanti, risalendo infatti al 1580 anno in cui Jacopo Del Conte la realizzò su incarico della Corporazione degli Acquaroli (ma il Vanvitellii nel 1751, la attribuisce addirittura a Michelangelo). Rappresenta infatti un “acquarolo”, quella figura che, fino a quando, alla fine del ‘500, i pontefici ripristinarono gli acquedotti, prendeva l’acqua dalle fontane pubbliche e la rivendeva porta a porta.
Anche se la fantasia popolare ha voluto vedere nelle fattezze deturpate di questa statua addiritttura Martin Lutero, il facchino rappresenta un tale Abbondio Rizio, noto per le sue bevute di vino (“Questo traffico m’insegnò Pasquino, di vender l’acqua per comprare vino.”). Come le altre,  è stata la “voce” di diverse pasquinate, le violente e spesso irriverenti satire indirizzate a colpire anche pesantemente e sempre in modo anonimo i personaggi pubblici più in vista a Roma.
“FUI DELL'ANTICA ROMA UN CITTADINO ORA ABATE LUIGI OGNUN MI CHIAMA CONQUISTAI CON MARFORIO E CON PASQUINO NELLE SATIRE URBANE ETERNA FAMA EBBI OFFESE, DISGRAZIE E SEPOLTURA MA QUI VITA NOVELLA E ALFIN
SICURA”
Questo il breve epitaffio sulla base che sorregge l'"Abate Luigi", in piazza Vidoni, non lontano da piazza Navona, sul muro sinistro della chiesa di S.Andrea della Valle. La statua raffigura un uomo con una toga di foggia tardo-romana; il soprannome fu probabilmente ispirato dal sacrestano della vicina chiesa del Sudario, il quale – secondo la tradizione popolare - rassomigliava molto alla figura scolpita. La piazza era la collocazione originale dell'"Abate", ma nel corso dei secoli la statua cambiò sede diverse volte, tenuta in scarsa considerazione, finché nel 1924 non fu ricollocata nel medesimo spiazzo. Ed ora, andiamo da “Pasquino”. 
La piazza prende il nome dalla scultura che nel 1501, per volere del cardinal Oliviero Carafa, venne addossata sull’angolo di Palazzo Orsini (residenza del cardinale) poi Braschi, in quella che un tempo era Piazza Parione.

In origine il marmo faceva presumibilmente parte di un gruppo, oggi mutilo, raffigurante Menelao che trascina fuori dalla mischia il corpo di Patroclo morente (Iliade, XVII), copia di un originale bronzeo noto in più repliche (una è a Firenze nella Loggia dei Lanzi) forse attribuibile allo scultore pergameno Antigonos (240-230 a.C.). In passato venne anche identificato come “Ercole in lotta con i Centauri” o come “Aiace con il corpo di Achille”. La scultura nella sua connotazione originaria sembra fosse una delle statue che costituivano la decorazione dello Stadio di Domiziano, quindi nell’area dell’attuale Piazza Navona, dove infatti è stato rinvenuto all’angolo con via della Cuccagna durante i lavori di pavimentazione della zona ad inizio ‘500.
Perché piazza Pasquino?
Ci sono varie ipotesi sull'origine del nome di Pasquino: chi dice che fosse il nome di un maestro, chi di un sarto, chi di un fabbro, chi di un calzolaio. Non lo sapremo mai con certezza, ma in fondo poco importa. In quei primi anni del XVI secolo l’occasione per gli sberleffi di Pasquino era offerta dalla festa di S. Marco (25 aprile) quando il busto che era sul percorso della via Papale, veniva abbigliato come una divinità (Venere, Giano o Apollo). Era di solito il piedistallo della statua il luogo deputato per gli epigrammii satirici con cui il popolo manifestava il proprio malcontento in versi o in prosa. Pasquino è l'anima di Roma, lo spirito, il "salis" e "l'acetum" del popolo romano.
Pasquino esisteva ancor prima di esistere come statua parlante. Esisteva nell'arguzia, nella salace ironia di Orazio, di Marziale, di Giovenale, di Ovidio e di Catullo, nella satira, nello sfottò, nell'animus del popolo romano. Il Romano, erede dei dominatori del mondo, di nulla si meraviglia, di nulla si esalta, di nulla si stupisce ma riconduce tutto alla concretezza del panta rei, "tutto scorre", tutto passa, filtrato da quel realismo pragmatico senza il quale Roma non sarebbe mai diventata Caput mundi.
Il popolano è scettico fino al cinismo, dissacratore e un pò canaglia, ma come fargliene una colpa?
Spettatore e vittima dei misfatti del potere teocratico del papato, ingannato e disilluso proprio da quei rappresentanti di Cristo in terra che dovrebbero riscattare la sua miseria morale e materiale, animato da una fede bigotta ma mai fanatica, con chi se la dovrebbe prendere? Il potere temporale dei papi non è un potere come un altro: è un potere sacro e quindi la critica che ad esso si rivolge è ancor più forte perché dissacratoria e blasfema. Pasquino rischia grosso, ma consapevole della propria impotenza e non volendo rassegnarsi ad essa, usa la sola arma che possiede: l'ironia, la beffa, il ridicolo.
Antesignano della libertà di stampa, è la voce beffarda di questo popolo, la sua velenosa rivincita sulle angherie e sulle miserie a cui il potere papalino lo costringe. Non è una voce rivoluzionaria: Pasquino è un conservatore, rassegnato al peggio ma che si contenterebbe del meno peggio. L'idea rivoluzionaria non gli appartiene, tutt'al più la rivolta di piazza, ma nell'impossibilità di agire, c'è almeno la rivalsa della parola. Della parola che punge, che ferisce, che ammonisce, che fustiga, che sghignazza, che diffama e dissacra, che calunnia, che mette in piazza i segreti, che ridicolizza i potenti e i loro vizi. Insomma, Pasquino, per quattro secoli, è la "stampa d'opposizione" del papato. Ma come mai nessun papa ha mai osato eliminare Pasquino? Semplice: Pasquino è in simbiosi col potere temporale dei papi, sono complementari l'uno all'altro: come potrebbe, un papa, disfarsi dell'emblema del popolo romano? Ci provò Adriano VI, il papa inglese, che non tollerava la voce critica di un pezzo di marmo sgrugnato. 
Ordinò che la statua fosse gettata nel Tevere, polverizzata, distrutta. Uno dei suoi consiglieri lo distolse, per fortuna, da tale decisione dicendogli che se avesse annegato Pasquino, questi si sarebbe fatto sentire più forte delle ranocchie dal fondo del fiume. Perciò c'è stata una tacita tolleranza; il popolo, sfogandosi in questo modo, tutt sommato innocuo, non ne avrebbe pensati altri più pericolosi. Qualche papa tentò di imbavagliarlo facendolo sorvegliare da guardie armate, ma dovette desistere perché le pasquinate si moltiplicarono ovunque a causa di quella decisione impopolare. Tanto più che Pasquino non discute il sistema, lo interpreta, lo critica, lo assolve, lo lapida a seconda dei momenti, ma la sua sorte è talmente legata al papato che quando Roma diventa "piemontese" tace per sempre. Pasquino, con i suoi libelliiii, scrive una storia parallela lunga quattro secoli, che si affianca a quella accademica e spesso ne svela le pieghe nascoste in modo più veritiero e credibile di quello che ci tramandano gli atti e i documenti ufficiali. Quando i bersaglieri entrano a Porta Pia, Pasquino perde il suo antagonista: il Papa Re e ciò che dice dopo il 1870, non fa più storia. I "forastieri"iv non possono capire.
Chi è Pasquino?
Il popolo romano, per la stragrande maggioranza analfabeta, non è stato certo l'autore materiale delle pasquinate, spesso scritte in latino o in versi poetici anche di raffinata fattura. Poco conta però chi ha fisicamente scritto i libelli: il Pasquino di turno non faceva che riportare sulla carta gli umori, i pettegolezzi, le frasi taglienti, le proteste, le battute fulminanti che venivano anche dalla gente della strada, dai vicoli, dalle botteghe o... dalla curia. Gli autori delle pasquinate potevano essere studenti, letterati del calibro dell'Aretino e di Giovan Battista Marino, portaborse di cardinali papabili, curiali insoddisfatti o addirittura personaggi vicini alle alte sfere papali che avevano contrastanti interessi. Alcuni agivano addirittura "sotto protezione" di questo o quel cardinale che, per motivi personali o politici, voleva dar voce ai propri rancori; ma l'anonimato era sempre garantito per non incorrere nelle ire della giustizia, assai poco tenera con i "calunniatori" del potere. Tanto è vero che nel 1556 Nicolò Franco, riconosciuto colpevole di motteggiarev il papa, fu condannato alla forca da Pio V. Ma non per questo Pasquino fu messo a tacere. Sotto Benedetto XIII sono comminate la pena di morte, la confisca dei beni e l'infamia del nome "per chiunque, senza distinzione di persone, clero compreso, scrive, stampa, diffonde ....libelli che abbiano carattere di pasquinate". Pasquino è sorvegliato a vista dalle guardie, ma non serve a nulla.


Testo liberamente tratto da http://musei2.educ.uniroma3.it/musei/laboratori/lab02pdf/01Piazza_Pasquino.pdf

11 commenti:

  1. Bella e interessante questa passeggiata per Roma, un percorso un po' diverso dal solito alla scoperta di queste statue parlanti che davano voce al popolo... in qualche occasione servirebbe anche a me un Pasquino...!

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    1. Cara Iolle pur conoscendo bene la mia città, ci sono sempre cose nuove da scoprire! A volte Pasquino ancora parla, ma nessuno lo ascolta! solo i turisti lo vanno trovare! Ciao e buon inizio di settimana!

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  2. domani e domenica sarò a roma; farò tesoro di queste tue parole! :)

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    1. Che bello! Mi potevi chiedere qualche informazione!!! Vorrei sapere cosa hai visto e come sei stata. Un bacio

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  3. che bella visita turisitica che ci ha permesso di fare!!! ;)

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    1. Cara Glo sono felice che ti sia piaciuto il post! Un bacio

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  4. Ciao Maria! Sono felice che ti sia piaciuto! Un bacio!

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  5. Questo è un blog affascinante per il connubio arte/cucina. Complimenti.
    Gio'

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